Quanto costa il gratis?

Oggi sono andato a una laurea e mi sono ricordato che un anno fa pubblicavo la mia tesi on line: quanto costa il gratis? e mi sembra ora una buona occasione per riparlarne visto l’attualità dei contenuti.

Nel frattempo è uscito un libro interessante di Chris Anderson, che mi aveva ispirato per l’argomento.

Ripropongo qua le conclusioni. Mi piacerebbe avere un vostro riscontro. Via twitter, con un post sul vostro blog o comq volete.

Sull’onda del non profit, del volontariato e del peering, sempre più imprese stanno facendo spazio al gratis all’interno dei propri modelli di business. Per ideali, convinzioni o costrizioni sempre più aziende si vedono costrette a rivedere il proprio modello di fare impresa, improntandolo sulla distribuzione gratuita di beni o servizi.

La produzione, specialmente in settori dove vengono prodotti beni informativi o beni conoscenza, sta conoscendo nuovi modi di produrre, collaborare e condividere: è quello che abbiamo definito peering, dove produttori e consumatori si incontrano in quello che è stato definito prosumo (commistione dei termini inglesi producer e consumer). Questa nuova modalità ha alla base motivazioni di tipo altruistico, volontaristico e caritatevole. Ma anche motivi reputazionali (come l’egoboo, l’espressione colloquiale che indica il piacere di essere riconosciuto pubblicamente per il lavoro volontario) o idealistici (come la filosofia alla base del software libero e dell’open source).

La promozione e il marketing hanno portato esempi e motivazioni di tipo economico: utilizzare l’attrazione esercitata dal gratis sui consumatori per far aumentare le vendite. Il mecenatismo è stato analizzato come una modalità particolare di promozione reputazionale dove il fine dell’operazione è quella di aumentare la visibilità del brand o dell’autorità e di associarne particolari valori.

Il gratis spinge le aziende a sperimentare modi nuovi di fare impresa o ad applicare modelli funzionanti in altri settori. Gratis in cambio di pubblicità, gratis in cambio di informazioni personali o tecniche: è l’affermarsi dei mercati multi-sided. è un gratis che qualcuno paga e che tutti, in qualche modo scambiano per qualcosa. Se a pagare non è il diretto fruitore, come nel caso del lettore di Metro o uno spettatore di Mediaset, il costo della produzione del bene informativo o di intrattenimento e del costo della distribuzione è a carico di altri attori; in questo caso della pubblicità. Ai lettori e spettatori viene chiesto solo il compromesso di concedere la propria attenzione alle pubblicità che accompagnano questi beni gratuiti. La pubblicità si declina in forme diverse, dall’inserzione diretta alla raccolta di informazioni personali che permettono poi agli inserzionisti di poter raggiungere in modo preciso il target prescelto.

Gratis può voler dire gratis davvero, a volte, ma non per tutti. è quello che abbiamo definito freemium, la discriminazione del prezzo che offre un bene gratuitamente a una larga base di utenti e a pagamento a una minoranza particolarmente attenta ai servizi aggiuntivi o a confort (fringe benefit). Con i sussidi incrociati invece a pagare è sempre l’utente finale, che percepisce qualcosa gratuitamente ma poi deve pagare il servizio o una serie di servizi collaterali.

Quanto costa il gratis? Esiste davvero qualcosa di gratuito?

Il gratis esiste, anche in forme pure, dove al fruitore non è chiesto nessun tipo di compromesso o di scambio. Come è stato analizzato dai numerosi esempi, non è sempre facile incontrare questo tipo di gratis, spesso dietro al costo zero si nascondono altri costi o dei compromessi. Quindi il gratis esiste, ma non per tutti. In ogni caso, qualcuno deve pagare. La differenza che abbiamo notato è una generale tendenza a diverse modalità di fruizione e pagamento: a pagare non è più sempre e solo il consumatore finale.

La questione intorno al gratis è il non sapere misurare il valore di un prodotto gratuito. Come abbiamo visto infatti, anche la qualità non è direttamente condizionata dal costo zero, ma comporta una serie di compromessi. Quanto vale Linux, che molti clienti hanno accettato in dono, ma che non ha conto economico, perché non può essere né comprato né venduto? Nessuno oserebbe dire che non vale nulla. Ma in realtà non si sa come misurarne il valore. Perché l’abitudine è limitata a misurare solo il valore di ciò che si compra e si vende.

Ciò che bisogna imparare dall’economia del dono, dal volontariato e dall’open source è che in uno scambio a costo zero, a prevalere è l’attore che, attraverso il gesto di amicizia e di liberalità, ha conquistato i suoi clienti.

Secondo l’antica logica del prezzo il ragionamento dovrebbe proseguire in questo modo: l’attore così avrà in futuro l’opportunità di vendere a questi clienti dietro corrispettivo. Avendo così il suo ritorno economico. In questa lettura, l’economia del dono è riportata alla luce, ma è ancora vista come un rinforzo od un supporto all’economia dello scambio dietro corrispettivo.

In realtà, sembra oggi possibile fare un ulteriore passaggio. L’economia del dono vale di per sé, perché il ritorno non sta nei beni che si vendono dietro corrispettivo ai clienti conquistati con il dono. Sta, più semplicemente, nel parco clienti acquisito. è il parco clienti ad aver di per sé valore economico.

Questa ricchezza può essere messa a bilancio, remunerata dagli investitori. Il valore non è dato dai beni e il loro futuro ricavo, ma è funzione dei clienti stessi.

Se questo è difficile da comprendere nei termini dell’economia che fa dello scambio monetario il suo cardine, appare perfettamente chiaro alla luce dei fondamenti dell’economia del dono.

Il denaro è un mezzo, non è il fine. Non conta avere guadagnato se si ha un brutto rapporto con i propri clienti. Il potere sta nel consenso conquistato, nel peso strategico.

Il gratis però, è un modello per certi versi rischioso e deve ancora verificare la propria sostenibilità. Anche se sta già emergendo da quel limbo che lo ha sempre associato alla truffa e nonostante ci siano ancora dei limiti per quanto riguarda il rispetto del gratis sembra che la percezione che ne hanno i consumatori stia cambiando. E come i consumatori anche le aziende, adottando nuovi modi produttivi e aprendosi a rapporti collaborativi con i propri consumatori.

Sono ancora da verificare le soluzioni legali adottate per la protezione, la diffusione la condivisione di prodotti generati dalla conoscenza comune e sono anche da considerare basilari le decisioni in materia giuridica che i diversi stati prenderanno in merito.

Quanto costa quindi il gratis? Non sappiamo attribuire un valore preciso al gratis, ma siamo arrivati a definire quali sono gli elementi che non potranno mai essere corrisposti a costo zero: immediatezza, personalizzazione, interpretazione, garanzia e certificazione, mecenatismo, reperibilità, lusso.

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